Comune di Rodì Milici

Comune di Rodì Milici

 

Siti archeologici e beni architettonici: i primi insediamenti umani nel territorio del Comune di Rodì Milici (ME), risalgono alla preistoria, come testimonia la necropoli scoperta nel 1951/1952 sul monte Grassorella o Gonia, dall’esimio Prof. Luigi Bernabò Brea.

 

Tombe

Si tratta, in particolare, di alcune decine di tombe a grotticelle e in prevalenza del tipo a forno o a fornicello, dell’età del bronzo e di età protostorica, alcune comunicanti, scavate nel tufo pliocenico che costituisce, appunto, il Monte Grassorella. Durante la campagna di scavi del 1951/1952, nelle summenzionate tombe furono rinvenuti, tra l’altro, una cuspide di lancia in ferro, numerosissime anfore in ceramica, decorate con motivi geometrici, pissidi, scodelle e tazze, fibule con filo di rame, perle, anelli in lamina sottile, un preziosissimo spillone di bronzo cruciforme con tre globuli, ecc., (custoditi nel museo di Lipari), ampiamente analizzati dal benemerito Prof. Luigi Bernabò Brea che li catalogò nella piena età del bronzo (XIII – XV sec. a.C.) e del ferro (IX – VIII sec. a.C.).

 

Longane

L’esistenza di questa antica città è documentata dal ritrovamento di alcuni esemplari di un unico tipo di moneta in argento, trattasi di una litra di argento coniata secondo il sistema euboico, e da un caduceo in bronzo, oggi custoditi presso il British Museum di Londra. La moneta ha sul D) la testa di Heracles giovane, coperta dalla leontea, entro un circolo di puntini, e sul R) la testa cornuta di un Dio fluviale entro un circolo di puntini.

 

La figura del Dio fluviale potrebbe, forse, identificarsi con quel fiume, il “Lònganos”, su cui Jerone II sconfisse i Mamertini nel 269 a.C., (di questa battaglia parlò, anche Diodoro Siculo) identificabile, secondo alcuni studiosi, con il vicino torrente Patrì. Il caduceo in bronzo, insegna dell’araldo della città di Lontane, reca la seguente iscrizione: “ Io sono l’araldo di Longane”.

 

Su una propaggine montuosa che, partendo dai Monti Peloritani avanza verso Nord, era posto l’abitato della città di Longane (VI – V sec. a.C.), la cui acropoli è da identificarsi con il Monte Ciappa. La città di Longane venne distrutta ad opera degli Zanclei, comandati da Scite, loro tiranno, intorno al 492 a.C..

 

Qui di seguito enumeriamo i monumenti ed i reperti, lasciatici dalla città di Longane:

Fortilizio

In primo luogo è da segnalarsi il fortino i cui ruderi ancora esistono sulla cima del Monte Cocuzza, sito verso sud, alle spalle del monte Ciappa, fu scoperto dal Prof. Bernabò Brea intorno al 1950. Esso ha mura di circa 50 cm. di spessore, le cui grosse pietre non sono squadrate e la costruzione è primordiale, del tipo megalitico. Secondo alcuni studiosi, si tratta del più antico fortilizio che sia stato costruito in Sicilia, ed è databile intorno al XIII secolo a.C.. Al VI ed inizi V sec. a.C., sempre relativamente alla città di Longane, risalgono alcuni monumenti di notevole importanza, di questi, oggi esistono soltanto alcune testimonianze, che stanno a dimostrare uno stato di civiltà elevata:

 

Cinta di fortificazioni

La cinta di fortificazioni di Longane, sembra sia stata l’opera più importante dei Longanesi. Queste fortificazioni di cui oggi sopravvivono i resti, erano a forma di quadrilatero e circondavano tutto il pianoro di monte Ciappa.

 

Resti fattoria periodo ellenistico

Nel 1997 è stata realizzata, in questo Comune, una campagna di scavi promossa dall’Università di Messina, con la collaborazione della Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Messina. Gli scavi sono stati effettuati sul Monte Grassorella o Gonia, in una zona, dove la vista spazia da Capo Tindari a Capo Milazzo, vicino alla necropoli, di cui si e parlato precedentemente.

 

Gli scavi, diretti dal Prof. De Miro dell’Università di Messina – Facoltà di Lettere e Filosofia – Istituto di Archeologia, hanno portato alla luce parte di una fattoria ellenistica, riconducibile al 350/300 a.C., utilizzata come frantoio e/o come mulino per la macina del frumento.

 

Oltre alle mura perimetrali dell’edificio ed alla grossa macina, sono emerse: una grande cisterna tronco¬conica scavata nella roccia tufacea, per la raccolta delle acque, nella quale sono state rinvenute grandi ossa di animali. Sono venute alla luce, inoltre, delle tombe di età ellenistica, in cui sono stati trovati, oltre al corredo funerario, anche delle monete databili alla metà del III secolo a.C., sulle quali sono incisi, da una parte la testa di Gerone II e dall’altra un tridente rovesciato e dei delfini.

 

Il Palazzo dei Cavalieri Di Malta o di S. Giovanni Gerosolimitano, con il caratteristico portale ad arco, in pietra arenaria, sormontato da una lapide che riproduce l’aquila reale con la croce, simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. A tal uopo, bisogna rilevare che l’Ordina di S. Giovanni Gerosolimitano ricevette il Casale di Milici, da Federico II di Svevia, nel 1210.

 

Durante il periodo di massimo splendore dell’Ordine, il territorio godette di grande prestigi ed ospitò una sezione della Scuola poetica Siciliana. Testimonianza dell’esistenza di questa sezione è l’Arco del Poeta, sito in Vico Poeta, una stradina adiacente alla Piazza Martino, di stile medievale, l’arco è costituito da blocchi di pietre sovrapposte, al centro dell’arco, vi è scolpito un volto o addirittura una maschera.

 

Attigua al Palazzo dei Cavalieri di Malta è la Chiesa S. Maria delle Grazie e S. Giovanni Battista, fu costruita durante il periodo normanno-svevo (XII-XIII sec.). Nel 1627 fu aggregata al Gran Priorato dell’Ordine Gerosolimitano. Testimonianza di ciò è la lapide in marmo posta sulla facciata della Chiesa, recante impresso lo stemma dell’Ordine; in essa si conservano anche preziose tele di epoca tardo-rinascimentale.

 

All’epoca tardo rinascimentale risale la Chiesa di San Bartolomeo (XVI – XVII sec.), in questa vi è custodita la STATUA DI S. BARTOLOMEO APOSTOLO. Il simulacro in marmo, opera di Andrea Calamech, fu eseguito nel 1579, su incarico di Minico Policza dai Castroreale.

 

Dello stesso periodo sono: LA CHIESETTA DI S. FILIPPO D’ AGIRA con l’artistica statua in legno del Santo e LA CHIESA DELL’IDRIA, divenuta successivamente (XIX sec.) di MARIA SS. IMMACOLATA, dove è custodito un dipinto, olio su tela, raffigurante la Madonna dell’Idria. A tal proposito si dice che un’imperatrice avesse portato il quadro della Madonna, da Gerusalemme, dove era stato dipinto da San Luca. In questa stessa Chiesa trovasi ubicato l’altare maggiore proveniente dalla Chiesa di S. Gregorio di Messina e trasportato a Rodì dopo il cataclisma del 1908.

 

Tradizioni culturali, popolari

Il Comune di Rodì Milici è rimasto, nel tempo, custodie e depositario di tradizioni antiche e nuove che ripercorrono tutto l’arco dell’anno. Varie sono, quindi, le iniziative, legate alla tradizione, che vengono organizzate nel corso dell’anno. Queste, oltre ad avere una valenza socio-economica, hanno alla loro base una valenza culturale di enorme rilievo, in termini di conoscenza ed approfondimento della nostra memoria e delle nostre radici. Richiamano, inoltre, una grande quantità di gente, per cui possono proporsi, nel contempo, come un importante ed efficace strumento promozionale per l’inserimento dei nostri centri in qualificati itinerari turistico-culturali.

 

Tradizioni gastronomiche

A Rodì Milici si produce un’ottima farina di grano duro, utilizzata per la panificazione e per fare ottima pasta., come i maccheroni per Carnevale, che le donne del luogo, usano fare, stirando ed avvolgendo la pasta intorno ai raggi rotti, ben sterilizzati, degli ombrelli, inoltre le tagliatelle e le lasagne. Con un misto di farina di grano duro e di semola, e con altri ingredienti, invece, nel periodo pasquale si fanno le tipiche “collure”, di varie forme: cuore, colomba, rondine, fiore, etc., queste vengono adornate di uova sode e palline variopinte. Mentre per S. Giuseppe si fanno le “crespelle” o “sfingi”, un impasto di farina, latte, zucchero e uova, fatto lievitare e poi fritto a palline.

 

Pregevole è la produzione del vino, i vigneti, infatti, posti sulle nostre colline ventilate ed esposte al sole dell’estate, producono un’ uva eccezionalmente matura, da cui si estrae un ottimo vino, detto “vino mamertino”, apprezzato sin dall’epoca Romana, si dice, infatti, che lo stesso Cesare amò festeggiare il suo terzo consolato, con questo vino.

 

A tal proposito bisogna ricordare un dolce tipico del periodo della vendemmia: “La Mostarda” fatta col mosto. Dopo averlo portato ad ebollizione e dopo averlo lasciato raffreddare,si mette un po’ di cenere, si lascia riposare per uno o due giorni, quindi, si mette farina o amido e si lascia rapprendere, prima di mettere la mostarda nei piatti, si grattugia una scorza di arancia e si mescolano le mandorle tostate e tagliate a pezzetti, quindi ciascun piatto viene ornato di mandorle tostate e di cannella.